Quarantacinque ore a Bremen

21.12.2010 14:39

Di Valentina di Cataldo

È un bel lunedì mattina di dicembre (a Milano c’è, udite udite, persino il sole) quando mi avvio verso l’aeroporto di Orio al Serio per prendere il mio volo super-economico (su questa rotta spesso si trovano biglietti in promozione anche a 1 euro tasse incluse) verso la ridente cittadina di Bremen, Deutschland.

Sono quasi tre anni che non ci metto più piede, da quando sono rientrata in Italia dopo l’Erasmus, dopo un anno intenso passato proprio lassù, a vivere e a studiare dispersa nell’estremo nord-ovest della Germania, tra Amburgo, Hannover, Brema e Lubecca. Dell’Erasmus, ovviamente, ho un ricordo meraviglioso, posti, esperienze, persone incontrate. Per questo, tornare dopo tutto questo tempo mi fa un effetto strano, come un salto nel passato.


A parte la tempesta di neve che ci accoglie
già in aereo rischiando di farci deviare su un altro aeroporto, il viaggio va tutto bene. In un’oretta mi ritrovo sulla pista di atterraggio. Esco dall’aeroporto e prendo direttamente il 6. La fermata è proprio di fronte agli arrivi e il biglietto si può fare anche a bordo. (La corsa singola costa €2.25, il giornaliero €6.30). Molto comodo. Il tram attraversa in mezz’ora la città da un capo all’altro (Flughafen/Universität) passando per il centro (Domsheide) e per la stazione (Hauptbahnhof). Mi accorgo che niente sembra cambiato. La neve, il freddo rigido da inverno vero, il fiume Weser, gelido e ventoso, la gente cordiale e sorridente. Le casette con i tetti spioventi e le finestre illuminate senza tendine per rubare, come sempre a certe latitudini, tutta la luce possibile nell’inverno nordico, mi danno una sensazione di calduccio e un non so che di tana che mette di buon umore.


Arrivata in centro (Google), decido di scendere dal tram e fare direttamente un giro per il Weihnachtsmarkt, il mercatino di Natale, che ogni anno occupa con le sue bancarelle tutta la piazza del duomo e del municipio. Mi immergo tra ghirlande, stelle di natale, colorati oggetti d’artigianato, tra le volute di fumo e gli odori agrodolci dei Bratwürst (oltre alle bancarelle normali, c’è una griglia di almeno 2 metri di diametro su cui una dozzina di addetti cucinano senza sosta salsicce e braciole da mattina a sera per tutti i giorni che dura mercatino) e del Glühwein (una specie di vino caldo che tutti, dai vecchietti ai più giovani, comprese intere famiglie, consumano per tradizione sotto il periodo natalizio). In questo contesto, le guglie verdi del Duomo medievale, la statua del Roland e la facciata del Rathaus con le sue decorazioni ricchissime sono ancora più suggestivi.


Passo a salutare i quattro musicanti.
Stanno di guardia di fianco all’ingresso del duomo, uno sopra l’altro: asino, cane, gatto e gallo in cima. Come nella fiaba dei Fratelli Grimm. Afferro le zampe anteriori dell’asino e tiro. Dicono che porti fortuna e io mi prendo la mia dose, come si conviene a una che ritorna dopo tanto tempo.

Dopo un giretto, riprendo il tram e proseguo in direzione nord verso la casa della mia amica Elena, ormai “bremese” di adozione, che nel frattempo ha finito di lavorare e non vede l’ora di rivedermi. Dopo tanto tempo, le chiacchiere sono tante, le notizie tantissime. Ci salutiamo con allegria e poi decidiamo di andare a cena in un ristorantino tipico, in onore dei vecchi tempi.

Se vi capita di andare a Brema, non cercate ristoranti nelle immediate vicinanze di Domsheide. Ce n’è solo uno, il Bremer Ratskeller, le storiche cantine della città, dove si possono ancora vedere delle botti di vino gigantesche e pregiatissime. È molto buono, di cucina tipica, frequentato anche da comitive locali; sta proprio sotto il Duomo, ma spesso, proprio perché è molto rinomato, è necessaria la prenotazione. Per questo, meglio avventurarsi nello Schnoor, che da fuori potrebbe sembrare un posto buio e privo di attrattive, mentre invece pullula di ristorantini, taverne, locali. Qui sicuramente le possibilità di trovare posto aumentano di gran lunga. Così facciamo anche noi, che non avevamo pianificato niente.


Lo Schnoor. È il quartiere più antico di Brema. Risale all’incirca al 1400
. Poi fu bombardato (come gran parte della città) durante la guerra e quindi è stato oggetto di una vigorosa ristrutturazione in epoca recente. Nel restauro, però, si è cercato di mantenerne la conformazione originale e questo lo rende un luogo magico oltre che una innegabile attrazione turistica.

Sarà l’effetto dei Musicanti, sarà l’inverno, la neve, la nostalgia, ma entrarvi mi fa un effetto che avevo dimenticato. Come piombare improvvisamente in una fiaba di fate e folletti o in una saga fantasy medievale. Le casette, coi tetti spioventi e in mattoncini rossi, qui non superano i due piani e tutto è in miniatura. Le stradine sono strette e tortuose, le finestre e le porte di legno piccole da non riuscire quasi nemmeno a passarci. Le pareti non sono per niente a squadra e gli spazi si organizzano secondo architetture estreme, illogiche, spaesanti. I negozietti di souvenir si alternano alle case private. Incastonato in una minuscola piazzetta, c’è la Bremer Geschichtenhaus, una casa-museo dove viene raccontata la storia della città di Brema, con ricostruzioni dei tempi che furono ed esposizioni interattive.


Nella stessa piazzetta, c’è un uomo che suona musiche suggestive alla chitarra
, incurante del freddo alle mani. Mentre passo, mi lancia un sorrisetto, mi indirizza una strofa della sua ballata e poi continua a cantare la sua melodia dolce. Sorpresi. E invece sì. Dolce. Infatti anche il tedesco, qui, sembra più morbido. L’accento di queste zone, infatti, (dicono che sia questo l’Hochdeutsch, il tedesco vero e corretto, il corrispettivo del nostro “toscano”) non ha niente a che fare con tutti quei suoni duri e aspirati che ci immaginiamo noi italiani quando pensiamo ai tedeschi. Quello, dicono, è l’accento bavarese, il dialetto del sud.

Ad ascoltare gli abitanti di Brema, o di Amburgo, invece, sembra quasi di sentire un miagolio, con tutte quelle “i” lunghe e quei dittonghi dolci… Sarà per colpa del Platt-Deutsch, il dialetto da cui deriva la cadenza del nord. Per dire buongiorno, per esempio, anziché “Guten Morgen”, abbreviano con un sinetico “Moooiiinnnnn” che può durare da un attimo fino a qualche secondo di orologio. Un po’ come quando gli americani ti dicono “Hiiiii”. Oppure, per dire no, non usano “Nein”, che suona subito come un rifiuto secco e perentorio, ma “Neeeee”, a metà tra una “e” e una “i”, che lascia l’impressione di un “mah, forse no, non credo, ma comunque magari vediamo poi”. E alla fine, per salutarsi quando vanno via, scordatevi il complicatissimo “Aufwiedersehen” ! Qui si dice “Tschuuuusss” (leggi “ciùùs”, con due intonazioni di “u” diverse, una acuta e l’altra più bassa), oppure addirittura “Tschiao”, che suona proprio come il nostro “Ciao” italiano. Simpatici, no? Tutti un po’ matti, mi sa.

Sorrido indietro al musicista e continuo nel mio giro.


Mi aspetto da un momento all’altro che da dietro un angolo sbuchi un Bianconiglio,
oppure che qualcuno mi porga da assaggiare una tegola di marzapane (una volta che vedi questi posti non ti meravigli più neppure di Hansel e Gretel). Il Bianconiglio non si fa vedere, ovviamente, ma in compenso ci ritroviamo al caffè dei gatti (die Katzen Kafe), dove abbiamo modo di cenare con il piatto tipico: grün Köhl und Pinkel. Si tratta di cavolo verde accompagnato da un tipo di wuster piccoli fatti con carne di maiale e grano. Detta così forse ispirerà diffidenza nei palati italiani, ma in realtà sono molto buoni. Dopo cena, incontro alcuni amici di Elena, gruppo misto di italiani,tedeschi e sudamericani. Va da sé che stasera si fa il Kneipen Tour. È un’usanza tipica dei giovani di Brema. Si tratta semplicemente di un giretto per le birrerie della zona. Una specie di tapas madrileña con molti gradi in meno e spostamenti più rapidi (sempre causa freddo). Molto divertente. In realtà di tappa ne facciamo solo due. Per noi che non beviamo più di una pinta, va già più che bene. In fondo il pretesto è fare due chiacchiere al caldo. Finiamo allo Shuttinger, in Bötcherstraße, sempre nelle vicinanze, tra Domsheide e lo Snoor, che oltre che una Kneipe (birreria) è anche un birrificio, cioè propone da bere le sue birre fatte “in casa”, solo per gli avventori. Un altro posto che vale la pena di visitare alla sera, per i giovani, è sicuramente il Viertel. Il quartiere dei divertimenti. A ogni angolo si susseguono caffè, birrerie, pub, localini di musica dal vivo, da ascolto o per ballare. Ce n’è per ogni esigenza e alcuni stanno aperti anche fino alle quattro del mattino. Tutto nel raggio di poche centinaia di metri, così è più facile scegliere.


Il cibo tipico qui al Viertel è il Kebab.
Lo chiamano Rollo, è la piadina. Niente di paragonabile a quello che si trova da noi, che spesso è soltanto un’accozzaglia di untume e frittura. Grazie anche al 37% di popolazione immigrata di seconda o addirittura terza generazione (significa che i loro nonni, all’inizio del secolo scorso, vennero a lavorare in Germania e poi si fermarono), qui la cucina turca e mediorientale è diventata davvero un’arte. Si trovano kebap con gusti e condimenti tra i più diversi (vegetariano, di agnello, versione indiana, con zenzero e curry, con bambù e cocco, con felafel…). Ogni negozio ha la sua specialità e sono davvero buonissimi, veloci e piuttosto economici.

Passando vedo le vetrine (che un tempo ho tanto amato) del Piano, del Capri Cafè. (Molti hanno nomi italiani e servono il caffè come si deve), poi ci sono l’Heartbreaker Cafè, il Lila Eule (questo è uno scantinato per ballare, gestito da giovani, con musica non commerciale. Come il Magazin Keller e lo Zucker, che però si trovano altrove, vicino alla stazione), il Lager Haus (centro culturale con bar, musica dal vivo e, al piano superiore, spettacoli di teatro sperimentale).

 

Verso mezzanotte, torniamo a casa. In settimana le Nachtlinien (mezzi pubblici notturni) funzionano solo fino a mezzanotte e mezzo e poi di nuovo dalle 4.30 del mattino. Nel weekend (venerdì e sabato), invece, ce n’è uno ogni ora per tutta la notte, per consentire ai giovani di uscire a divertirsi (Su 600.000 abitanti, 25.000 sono studenti) e ai turisti di attardarsi un po’ di più se lo desiderano.

 

Dopo una bella dormita, sono pronta per la mia seconda giornata. Mi alzo abbastanza presto, saluto Elena che va a lavoro e comincio il mio giro per la città. Passo in università, più per nostalgia che per interesse architettonico (il campus è un po’ decentrato rispetto al centro, costruito negli anni Sessanta, funzionale ed efficiente, ma di sicuro non si può definire bello. Un giro tra gli studenti tedeschi può essere comunque di un certo interesse antropologico-sociologico). Poi mi incammino verso il Burgerpark, il parco più grande di Bremen. È tutto pieno di neve, ma è suggestivo lo stesso. Gli altri due parchi importanti sono il Rododendron Park, dove ogni primavera si tiene l’allestimento “Botanika”, una serra a cielo aperto con con ogni tipo di pianta e di fiori coloratissimi, e il Weser Park, che costeggia il fiume e dove con la bella stagione gli abitanti della città hanno l’abitudine di andare a fare delle superbe grigliate e passare i pomeriggi insieme.


Cammino attraverso il parco, quasi deserto, e raggiungo, sempre senza uscirne, di nuovo il centro città. Oggi ho in programma di andare a vedere cosa succede Am schlachte, cioè sulla passeggiata lungo il fiume.

Dato che siamo sotto Natale, vi trova luogo lo Schlachte-Zauber, una vera e propria ricostruzione medioevale di arti e mestieri, con tende in cui uomini e donne vestiti in costume propongono leccornie preparate a mano, cartomanti, fabbri, falegnami e tessitori. (Ogni anno dal 25 novembre al 23 dicembre, tutti i giorni dalle 11 alle 20). Il programma delle iniziative è molto ricco e l’atmosfera è davvero suggestiva.


Anche negli altri periodi dell’anno, la promenade è un luogo davvero piacevole. Quando fa un po’ più caldo, ci si può sedere sulle panchine o passeggiare tranquillamente godendosi il tramonto o prendendo un caffè ai tavolini che i locali mettono fuori. E a giugno, durante la Breminale (festival di musica ed eventi), vengono montati i palchi all’aperto per la musica dal vivo e i numeri di arte di strada. Inoltre è da qui che si parte per fare il giro in battello lungo il fiume. (Anche se di certo non dovete aspettarvi che navigare sul Weser sia romantico come sul Tamigi o sulla Senna e forse è quasi più bello stare a guardare dalla riva anziché imbarcarsi).


Mi affaccio alla balaustra e guardo. Più giù c’è il Weser Stadium, dove gioca il Weder Bremen, la famosa squadra, che qui raccoglie tifosi davvero tra tutti, nonne, mamme e bambini compresi, e la fabbrica della Beck’s (Per chi volesse, si può anche fare un tour guidato del birrificio con degustazione annessa. Costa 7 euro e basta prenotare in anticipo). La leggenda vuole che un tempo, fino a qualche decennio fa, in occasione della festa del patrono (verso novembre), per una intera settimana, dalle fontane cittadine, anziché acqua sgorgasse birra a volontà, gentilmente offerta dal signor Hacke-Beck ai suoi concittadini. Chissà come mai ora non si usa più…


Verso sera incontro Elena. Ceniamo velocemente e poi andiamo a vedere il jazz nel Bistrot della Musik Hochschule. Tutti i martedì gli studenti del conservatorio offrono un concerto di jazz completamente gratuito, spesso di alto livello, con jam session a seguire. L’occasione non va sprecata. L’ambiente è davvero piacevole, intimo e familiare, e la musica è buona. Dopodiché ci salutiamo. Domani mattina presto riparto per Milano. La mia rimpatriata a Brema, purtroppo, è già finita. Abbastanza per salutare la mia amica e per rivedere i posti che avevo nel cuore. Il mio personale weekend all’inizio della settimana è stato molto piacevole.

E adesso si torna a casa….

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