Pensiero fluido

18.10.2010 17:08

di Valentina Di Cataldo

Se per caso qualcuno, non sapendo cosa aspettarsi, si fosse fatto un’idea sbagliata, meglio chiarire subito: quella che in questi giorni viene proposta allo Spazio Oberdan (via V. Veneto 2, Milano, fino al 7 novembre. Aperto da martedì a domenica dalle 10.00 alle 19.00, ingresso libero) non è soltanto una normale mostra di arte contemporanea. Della mostra ha (forse) soltanto l’apparenza, ma non di certo il clima, l’intenzione o l’atmosfera, che di sicuro sono più vicini a quelli di un’installazione interattiva di ultima generazione.

Il manifesto programmatico scritto in nero sulla parete d’ingresso parla chiaro: “Pensiero Fluido è un luogo non necessariamente reale”. Anzi. A detta degli autori si tratta di una specie di terra di mezzo, di spazio virtuale, di non-luogo nel quale prendono forma, esistono e si modificano gli accostamenti concettuali proposti al visitatore tramite le opere in esposizione. Niente di polveroso o di noioso, quindi, né di astruso o di incomprensibile. A muovere il progetto sono le riflessioni e gli interrogativi, urgenti e vivissimi, lanciati come una proposta e uno spunto dal gruppo dei creatori, dodici giovani artisti attivi sulla scena milanese (Alterazioni Video/ Bros / Massimo Caccia / Francesco De Molfetta / Manuel Felisi / Andrea Francolino / Luca Gastaldo / Fabio Giampietro / Daniele Giunta / Massimo Gurnari / Matteo Negri / Troilo). Come recita l’introduzione, la loro vuole essere “una sorta di utopia e un’innegabile presa di coscienza” della realtà che ci circonda e dei cambiamenti storici e politici che ci troviamo a vivere tutti i giorni sulla nostra pelle.

Immaginate il mondo come una massa enorme e velocissima di informazioni che si riversano ininterrottamente addosso a ognuno di noi in un flusso continuo di notizie, eventi e fatti, costringendoci a dipanare, capire, selezionare, memorizzare ogni cosa a una velocità supersonica e poi a farcene immediatamente anche un’idea e un’opinione. Immaginatela come una sfida quotidiana e inconsapevole (lanciata dalla realtà esterna) alle nostre capacità di analisi e di sintesi, di rielaborazione dei dati e di pensiero critico.

Adesso immaginate che dodici giovani artisti, come tutti alle prese con le contraddizioni dei nostri giorni, completamente assorbiti dall’attuale clima di continui cambiamenti e stimoli, decidano di accettare la sfida e di mettersi a pensare al tema in maniera consapevole. Immaginate che lo facciano a modo loro, da creativi, e dalla loro prospettiva (cioè da giovani), manipolando materiali e idee, concetti e titoli, accostando le notizie più eterogenee e le informazioni più stridenti per produrne dell’arte.

Dal punto di vista sensoriale, il risultato è “una vertigine senza limiti di spazio, tempo, materia o spirito”, la percezione di muoversi in un territorio elastico, denso, fluido, senza confini definitivi, in una piattaforma virtuale dove è possibile e inevitabile fondere e confondere tra loro le varie direzioni del pensiero. Dal punto di vista artistico, “un’espressione creativa, non dispotica, indipendente e meno statica, un atteggiamento non solamente contemplativo, più dinamico”, che approccia la sua materia in maniera fluida. Un Pensiero Fluido, per l’appunto.

Il prodotto finito sono, concretamente, le opere presentate. Ognuno dei lavori esposti è a modo suo una originale riflessione artistica, politica, etica su un aspetto particolare di attualità.

Si entra in un corridoio come in un cervello bianco, l’ombra delle sinapsi proiettata intorno da una luce mobile, in sottofondo una musica elettronica dai richiami indie-rock. Sulla parete di fondo, un grande specchio (anch’esso a forma di cervello) riflette la nostra figura a schermo intero, piccola, lontana, incastonata come il prodotto di un pensiero pensato da Pensiero Fluido. Nell’esperienza sensoriale totale, i ruoli si ribaltano come se ad essere oggetto fosse il visitatore, a sua volta scrutato dal tema vivo della mostra. Al termine di questo tragitto di iniziazione estetica, si trovano le sale.


All’insegna della contaminazione, in una lezione (ben) imparata dal surrealismo novecentesco, le serie politically un-correct di Andrea Francolino: i cartelloni reclame del Killit Bang, sgrassatore universale pubblicizzato dalle facce di vari personaggi noti del mondo politico; la catena evolutiva dell’Omo in un fustino nelle sue varie fasi da quella semi-eretta fino all’ultimo stadio, significativamente rappresentato da una dose di petrolio; TNT, spedizioniere “esplosivo” utilizzato per recapitare due pacchetti (appesi in esposizione) intestati rispettivamente a Spett.le G. Falcone, 90040, Capaci (Pa) e Spett.le P. Borsellino, via D’Amelio 90100 Palermo; infine il pezzo maggiore, Président Aung San Suu Kyi, che ironizza amaramente sulla situazione politica birmana grazie a una confezione gigante del noto formaggio francese con la foto della Lady di Yangon stampata sul coperchio, in un carrello vero del supermercato con davanti una tonaca da monaco abbandonata per terra, mentre in sottofondo un altoparlante fa sentire i canti di una preghiera buddhista.

In esposizione anche Troilo, con i suoi pezzi di umani anomali dipinti su tela in stile da accademia, quasi dei quadri normali (ma è nel “quasi” che sta la differenza). Simmetrie di un’esplosione a parete, generazione di mostri ibridati, due busti senza testa, oppure troppe paia di gambe, un braccio che spunta dalla schiena e un busto senza braccia, come un raddoppiamento speculare di alcuni pezzi di corpo ma senza che si riesca a recuperare l’intero, la figura totale e compiuta di un essere umano. Da una carta da gioco, due mezzi Re di Picche cercano di afferrarsi le braccia increduli e sconcertati per il loro dimezzamento raddoppiato. Ben simbolizzano l’esplosione dell’in-dividuo e le modificazioni drastiche dell’io e della percezione di sé in corso nell’ultimo secolo.

Seguono i quadri surreali e onirici, alla Dalì, di Massimo Gurnari, i giochi di parole  di Francesco De Molfetta, con Monna Kissa,una Gioconda truccata come la rock band, Du-Shampoo, rivisitazione del celebre orinatoio con un flacone di Johnnson’s Baby, Golf, maglioncino/campo da gioco, Fatman, versione obesa del supereroe che mangia gelati e fast food; Massimo Caccia, quasi da animoticon con le sue lumache in bottiglia, il ramarro in tazza grande, il koala appeso a un ramo con le mollette per stendere.

 

Più cupa è l’atmosfera creata da Fabio Giampietro, con i suoi globi rotondi, dipinto su tela, stile manga, rigorosamente in grigio. Mondi apocalittici (che potrebbero sembrare anche microchip o tasti di tastiera di un computer) completamente ricoperti di palazzi e grattacieli, minacciati da una pioggia di meteoriti post-industriali.

Nella stessa direzione, ma realizzati diversamente, vanno anche i mappamondi di Lego di Matteo Negri. Le nazioni, di colori diversi, vengono spartite come a Risiko tra due cavalieri (sempre di Lego) che si fronteggiano nella lotta geo-politica.

 

Al piano superiore, Daniele Giunta propone un sottobosco con tanto di pigne, aghi di pino, rami, mentre Luca Gastaldo ci fa salire su un terrazzo in cui giocare a nascondino tra i panni bianchi (ma sporchi) stesi ad asciugare al sole e al vento. Manuel Felisi ci regala un istante di preziosa sospensione onirica facendoci entrare in una stanza estranea al normale scorrere del tempo, un posto raro e strano dove fuori è sereno mentre dentro piove. Gli arredi sanno di polvere come quelle case di campagna di cinquant’anni fa, tutto è invecchiato, scrostato, fuori tempo, ma sulla porta il calendario segna anacronisticamente “ottobre 2010”, riportandoci al presente. L’effetto è spiazzante e magico come quello di un carillon.

 

In una saletta, alla fine del percorso, con un sottofondo di musica classica degna di stacchetti pubblicitari o intervalli televisivi di lontana memoria, Contaminazioni Video proietta una carrellata di foto di  vari ecomostri e infrastrutture abbandonate o mai nemmeno terminate che deturpano numerosi posti d’Italia.

A riprova del fatto che forse, sotto il torpore generale, a dispetto del disimpegno di facciata ostentato da tanta arte contemporanea ufficiale, qualcosa si sta smuovendo, che l’urgenza di una domanda generale sta prendendo spazio a livello artistico, etico e politico, e che il bisogno di rispondere, o almeno di provarci in qualche modo, con strumenti originali e nuovi, viene proprio dai giovani.

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